Si parla sempre tanto di felicità, ognuno ha il suo modo di definirla e identificarla ma proprio per questa labilità nell’interpretazione del termine tutti la cercano ed in pochi sanno cosa stanno cercando. Forse il problema sta proprio nella ricerca, o meglio, nei luoghi in cui avviene questa ricerca: è possibile affidarsi al mondo esterno, liquido e frenetico, per trovare qualcosa di tanto complesso e indefinito?
Cos’è la felicità?
Come punto di partenza direi che si può mettere la definizione della Treccani:
Stato d’animo di chi è sereno, non turbato da dolori o preoccupazioni e gode di questo suo stato.
“Stato d’animo”, non punto d’arrivo, non obiettivo. Ma una modalità con cui si fronteggia la vita.
Il problema secondo me arriva nella seconda parte, perché a quanto pare per essere felici c’è bisogno di non essere sottoposti a stress e preoccupazioni, cosa praticamente impossibile nella società moderna. Chiunque ha qualcosa a cui pensare, dal lavoro allo studio, passando per amici o famiglia, è impossibile trovare una persona che non si preoccupi di niente. E allora si potrebbe arrivare a dire che non è la situazione di serenità, non turbata da niente e nessuno a rendere una persona felice, quanto la modalità con cui la persona sceglie di affrontare stress e preoccupazioni.
Pensare alla felicità come un obiettivo da raggiungere, attraverso l’eliminazione di dolori e preoccupazioni dalla propria vita, secondo me (e per me) è il primo motivo per il quale diviene impossibile reputarsi felici. Credo invece che sia proprio sui dolori e sulle preoccupazioni che bisognerebbe lavorare per cercare la felicità, non eliminandoli ma rimettendoli in prospettiva rispetto al contesto, consapevoli che la vita è una corsa ad ostacoli per chiunque e anche se per qualcuno potrebbe essere più semplice, arrabbiarsi sul fatto che per noi è più difficile rispetto a qualcun altro non rende la nostra strada meno tortuosa.
- Non guardare il giardino altrui;
- Non scaricare le colpe su altri;
- Pensare al percorso e non al traguardo.
Ognuno di questi tre punti si sta rivelando essenziale per il percorso che mi ha portato a riflettere sulla felicità e sul perché non mi sentissi mai felice se non per brevi istanti. Ognuno di questi punti però merita un approfondimento a parte, quindi ad ognuno di loro dedicherò un articolo a parte.
C’è anche un quarto punto, forse il più importante perché altrimenti sembra che si scelga di essere infelici (e forse per qualcuno è così, ma anche questo è un altro discorso e magari più avanti se ne parlerà). La felicità non è un obbligo e non può essere uno stato d’animo costante, anzi, non DEVE essere uno stato d’animo costante. Ci sono momenti che hanno bisogno di una manifestazione emotiva diversa da quella che la felicità implica. Rabbia, paura, tristezza e altre emozioni generalmente indicate come negative non sono “inutili”, come spesso si è portati a pensare, ma sono emozioni estremamente importanti per poter superare i momenti di crisi e tornare in una fase emotiva di stabilità che possa ristabilire anche lo stato di felicità.
Diciamo che per questo primo articolo sulla felicità di carne al fuoco ne ho messa già abbastanza, ovviamente questi non vogliono essere dei consigli su come voi dobbiate essere felici. Sono solo delle riflessioni su come io sono riuscita (anzi, sto lentamente riuscendo) a dare una svolta al mio modo di affrontare “la vita, l’universo e tutto quanto”. Se poi può essere di spunto per qualcun altro tanto meglio!