La felicità è qualcosa che si compra?

Si, la felicità si può comprare. Sarebbe ipocrita dire il contrario.

Il problema arriva quando la felicità di comprare un determinato oggetto/viaggio/cosa random si confonde con l’euforia dovuta ad un nuovo acquisto, in questo modo è l’azione del comprare che diventa il fulcro della felicità piuttosto che ciò che viene acquistato.

Il mercato, così come si sta evolvendo oggi, non può permettere che le persone siano soddisfatte dai propri acquisti, perché una persona soddisfatta non ha più bisogno di spendere, al contrario, una costante insoddisfazione che si placa solo nel momento in cui si acquista qualcosa di nuovo rende le persone schiave del consumo.

La società dei consumi basa le proprie fortune sulla promessa di soddisfare i desideri umani in un modo impossibile e inimmaginabile per qualsiasi altra società precedente. La promessa di gratificazione è però allettante soltanto sino a quando il desiderio non è stato soddisfatto.

Zygmunt Bauman

È inutile in questi casi scaricare le colpe sulle grandi case di produzione, sul capitalismo, sui rettiliani o chi altro si voglia, perché per attuare un cambiamento bisogna partire da se stessi, non pensare che grandi compagnie che guadagnano miliardi dalla mania di consumo decidano da un giorno all’altro di darsi la zappa sui piedi. Se però il pubblico inizia a ragionare e a pensare più ai propri desideri piuttosto che a ciò che il mercato pubblicitario gli fa credere di desiderare, loro saranno costrette a venire dietro a ruota, sono loro che devono tornare ad inseguire i clienti e non i clienti che inseguono loro come sta succedendo in questo periodo.

Ho già parlato della necessità di prendersi le proprie responsabilità per poter almeno iniziare ad essere padroni delle proprie scelte e quindi del proprio stato d’animo. Anche in questo caso, scaricare la colpa su chi cerca di far sentire le persone costantemente insoddisfatte proponendo in maniera compulsiva nuove cose che “non si possono assolutamente non avere!”, è un modo per non assumersi la responsabilità del cambiamento.

Per iniziare a cambiare le cose non serve a niente mettere cuori e condividere, così come non serve a niente scendere in piazza a protestare se poi nella quotidianità non si cambia atteggiamento. È tutt’altro che semplice riuscire ad attuare un cambiamento simile e lo dico per esperienza visto che ancora non credo di essere salva da questo tipo di ragionamento. La mia fortuna, se così la vogliamo chiamare, è stata che la mania consumista ha preso come prima cosa un ambito a cui sono estremamente legata per un valore molto più profondo del semplice accumulo compulsivo: la lettura.

Nel momento in cui mi sono resa conto che leggere non mi dava tanta soddisfazione quanto comprare nuovi libri ho capito che qualcosa non andava e ho deciso di cambiare le cose, nonostante questo mi avrebbe portato ad avere un calo di interesse sul canale youtube che dedico ai libri. Calo che, a posteriori, posso confermare che c’è stato, un canale che parla di cose materiali e non porta haul oggi come oggi diventa praticamente invisibile.

È stato un male? Sicuramente dal punto di vista di interazioni e visualizzazioni si, ma il mio rapporto con i libri è tornato quello di un tempo e soprattutto sono molto più soddisfatta dei video che faccio uscire.

La vita è fatta di scelte e per questo bisogna sempre chiedersi il perché si predilige una strada rispetto ad un’altra. In psicologia potremmo parlare di motivazioni estrinseche e motivazioni intrinseche: la prima è la spinta dovuta a ciò che gli altri vogliono (o si aspettano) da noi, la seconda ciò che noi vogliamo da o per noi stessi.

Avete mai riflettuto su chi è che gestisce realmente la vostra motivazione e i vostri desideri?

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