Partiamo da un presupposto: mio marito in casa non mi aiuta, noi collaboriamo.
Sembrerà una sciocchezza soffermarsi sulla terminologia, ma non lo è. Aiutare implica che il carico del lavoro domestico dovrebbe essere principalmente il mio e così non è.
E dirò di più, non mi reputo neanche fortunata per il fatto di avere un marito con cui suddividere l’impegno della gestione domestica. Forse posso esserlo perché è stato educato da essere umano normale e non da principe che deve essere servito e riverito, quindi non ci sono mai state discussioni al riguardo. Ma di sicuro non ci saremmo sposati se il presupposto fosse stato quello di dovermi prendere il totale carico delle faccende domestiche. Avere lui al mio fianco non è fortuna, è una scelta.
Quando si sceglie di stare con una persona lo si fa considerando pregi e difetti, tenendo presenti le cose su cui possiamo sorvolare e quelle invece su cui non abbiamo intenzione di scendere a compromessi. Io odio fare le faccende domestiche mentre trovo molta soddisfazione nel lavoro fuori casa, quindi per me stare per tutta la vita con una persona che non ha intenzione di dividere pulizie e gestione della casa era impensabile.
Sono sicura che esistano anche persone che preferiscono invece occuparsi della casa e della famiglia a tempo pieno, in questo caso la suddivisione dei compiti non sarà certamente come la nostra.
In ogni caso il discorso della collaborazione varia a seconda del carico di lavoro che i componenti della famiglia hanno fuori dall’ambiente domestico. Nei periodi in cui io non lavoro mi occupo della casa più di quanto faccia lui, così come quando è capitato il contrario era lui a fare più di me. Se invece si lavora entrambi il carico è ugualmente suddiviso a seconda del tempo libero a disposizione.
Ci sono poi attività che svolge più spesso l’uno o l’altro. Per esempio, per quanto la pulizia quotidiana del bagno la si faccia entrambi, lui è deputato alla pulizia profonda, perché io a sentire odore di varechina o disinfettante mi sento male. Allo stesso modo lui è fortemente allergico alla polvere, quindi in genere sono io a spolverare.
Con gli anni abbiamo trovato la nostra routine di ordine, pulizia e gestione delle scadenze. È un percorso che abbiamo fatto insieme e che abbiamo modificato più volte a seconda del periodo, senza metterci compiti o date fisse.
Ora siamo già pronti a rimettere in discussione tutto in vista del nuovo membro della famiglia, ma quello di cui siamo sicuri è che continueremo a fare lavoro di squadra. Sia perché lavorando insieme anche le pulizie più noiose possono prendere una piega più divertente, sia perché in questo modo le faccende si svolgono più velocemente e abbiamo più tempo libero per noi.
In conclusione
Non so perché si debbano considerare “beate” o “fortunate” delle persone solo perché hanno un’organizzazione diversa dalla propria. Anche perché magari è un’organizzazione sulla quale hanno dovuto lavorare tanto, visto che non tutti gli uomini escono da casa dei genitori capaci di occuparsi della gestione domestica. Ma il marito lo si sceglie, non capita per caso.
Non intendo sottovalutare il problema dell’educazione maschile alle faccende domestiche, ma allo stesso tempo credo che stia anche a noi donne mettere dei paletti, da subito, sulle cose su cui non vogliamo scendere a compromessi. Senza aspettare che sia l’altra persona ad accorgersi che deve fare di più.
Accettare di sobbarcarsi tutto il lavoro per paura che l’altra persona possa non accettare la suddivisione dei compiti non rende le donne che non fanno questo ragionamento “più fortunate”. Spesso per arrivare ad un determinato equilibrio c’è alle spalle un lungo lavoro di compromessi e discussioni che magari non si può neanche immaginare, come dimostra l’articolo “I mariti non aiutano. Fanno i mariti. Punto.” del blog Mamma Che Vita.
E visto che ci sono vi consiglio anche un altro articolo, letto qualche tempo fa sul blog correlato ad HuffingtonPost Italia, che si intitola “5 motivi per cui non sono fortunata ad avere accanto mio marito“.